in un momento tanto difficile come quello che stiamo vivendo, Tolkien ci è vicino in modo speciale. Per questo anche noi dobbiamo starci vicini in modo speciale. Il Tolkien Reading Day ha già assunto un significato tutto particolare. Siamo chiusi in casa, dobbiamo restarci, ed è così che anche solo un tag, un breve video, una foto, due righe di scritto, un invito a leggere, una puntata radiofonica, diventano il segno di una presenza.
Il motivo che ci ha portati a proporre un Tolkien Flash Mob il 3 aprile alle 17 è proprio questo: starci vicini. L’ispirazione viene da quelle persone che hanno cominciato a cantare e si sono ritrovate sui loro balconi di casa. La mia prima reazione è stata “che pazzi!”, ma poi ho pensato che quello era un modo di riscoprirsi, di farsi coraggio, di affrontare la realtà. Anche un po’ folle se vogliamo, ma importante, significativo.
Le modalità di partecipazione sono queste:
– Noi Cavalieri del Mark, assieme alla Società Tolkieniana Italiana e ai nostri collaboratori faremo una breve diretta video su tutti i nostri canali social facebook e instagram; – Potete fare voi stessi una diretta o scrivere un breve post con una foto sul nostro gruppo facebook Tolkieniani Italiani – gruppo pubblico o taggando il nostro profilo instagram @tolkieniani_italiani; – Guardando un film relativo a Tolkien, che sia una delle due trilogie di Peter Jackson o il biopic di Dome Karukoski e mettendo il volume al massimo, quindi facendo un video della vostra impresa e condividendolo sui canali social sopra indicati; – Ascoltando musica tolkieniana (Howard Shore, Lingalad, Andata e Ritorno. Lo Hobbit in musica, Ainur, Tolkien Ensamble, Clamavi de Profundis, Enya eccetera) e mettendo a tutto volume, quindi facendo anche in questo caso un video della vostra impresa e condividendolo sui canali social sopra indicati; – Usando l’hashtag #TolkienFlashMob. Vi riscrivo i canali social su cui fare voi stessi le dirette o condividere i vostri foto e video del flash mob: Tolkieniani Italiani – gruppo pubblico per facebook e taggando @tolkieniani_italiani su instagram.
Vi aspettiamo tutti sui nostri canali il 3 aprile alle 17!
Organizzatori:
Associazione “I Cavalieri del Mark”
Società Tolkieniana Italiana
In Collaborazione con:
Tolkien Italia
Tolkieniana Net
Le migliori frasi del Silmarillion
Le migliori frasi del Signore degli Anelli
Biblioteca Silmarillion
Pedo Mellon a Minno
Where once was light now darkness falls
Ainur
Eldalie
Il Signore degli Anelli: la traduzione di Vittoria Alliata
articolo del collettivo FIGLI DI FËANOR, tramite PAOLA CARTOCETI
Ringrazio la Voce di Arda e Giuseppe Scattolini che mi hanno invitata a parlare a nome dei Figli di Fëanor il 17 aprile alle 21. Sono laureata in filologia italiana cum laude, studiosa di lingua e letteratura inglese e traduttrice di Robin Hobb per Fanucci e di racconti apocrifi di Sherlock Holmes per Delos. Dal 1989 pubblico racconti e ho vinto vari premi; di recente ho pubblicato un saggio critico sullo Hobbit di Peter Jackson nel volume “Hobbitologia” (Camelozampa 2016). Ho presentato diverse conferenze tolkieniane, la più recente su Eärendil (2019, recuperabile sulla Voce di Arda), che spero di raccogliere in volume.
I Figli di Fëanor (ifiglidifeanor.home.blog) nascono nell’agosto ’19 su iniziativa di alcune “personalità” tolkieniane dilettanti, come me, quando venimmo a sapere della traduzione Fatica della “Compagnia dell’Anello”, sostenuta dall’AIST. Non pensavamo di arrivare fin qui; all’inizio era una goliardata per sfogare la frustrazione, ma con il passare dei mesi è diventata un’iniziativa sempre più seria, cambiando anche impostazione in corso d’opera.
La dichiarazione programmatica sul blog dei Figli applicava la retorica del “giuramento” alla difesa aprioristica della traduzione Alliata (dilettanti, appunto: non sapevamo che era meglio dire “Alliata/Principe”). Studiando l’argomento è stato sempre più chiaro che è inutile difendere A/P con i detrattori: ci si apre a confutazioni interminabili e spesso aggressive.
Il giuramento rimane valido, solo che ormai sappiamo che i Silmarilli sono perduti. Meglio confrontare la traduzione Fatica con l’originale, mostrando come essa non restituisca affatto il “vero Tolkien”, come invece vantano i suoi fautori. Alziamo lo sguardo verso la stella Eärendil e diciamo, come Maedhros quando vide che la loro sanguinosa impresa era fallita: “Di certo, quello è un Silmaril che splende in Occidente”.
I Figli di Fëanor stanno quindi raccogliendo tutte le fonti primarie sulla nuova traduzione e tutti gli errori e incongruenze che vi si trovano, con l’aiuto di traduttori e filologi fra cui me stessa. Tutte le citazioni che farò sono reperibili sul loro blog.
Anonimato: Purtroppo molti studiosi di Tolkien tacciono. Non vogliono litigare, non si identificano con i gruppi ufficiali, non sono interessati alla politica; eppure vogliono difendere quella luce che splende in Occidente. Verranno giudicati vili perché non ci mettono la faccia? Gliene dicono già tante… Per alcuni è una questione di salute fisica e mentale, per difendersi dai veleni di Internet. Da cristiana-conservatrice moderata nonché ansioso-depressiva, detesto qualsiasi partito politico perché sento la politica come violenza. Ma se si sostiene A/P si viene bollati come fascisti, cattofascisti, estrema destra; o considerati una massa unica, i “fan da curva sud”. Questo vogliono dire i Figli di Fëanor: no, non siamo come l’AIST ci vuole, siamo i tolkieniani a cui non importa nulla della loro fantapolitica. Abbiamo un nome e un volto: quelli di chi si sente escluso come noi.
Origine ideologica della nuova traduzione. Una volta deciso di concentrarci sulla critica a Fatica invece che sulla difesa di A/P, abbiamo scoperto una quantità enorme di fonti primarie: ovvero, filologicamente, le parole originali di Fatica (poche), dei sostenitori (molte) e dei commentatori (moltissime). Quanto ai commentatori, è stato necessario limitarsi, ma abbiamo scoperto una serie di studiosi eccellenti, come Costanza Bonelli e Kelopoeta, già ospitati dalla Voce di Arda, o Davide Gorga che mi accompagnerà nell’impresa del 17 aprile.
Purtroppo la nuova traduzione fu subito accompagnata o addirittura preceduta da critiche positive e negative fuori controllo. Da una parte i fautori di Fatica la propugnarono come “l’uscita dall’oscurità” in senso ideologico. Io non so chi sia Evola, non capisco la differenza fra tradizione e Tradizione, ma dal 1981 ho talmente apprezzato Il Signore degli Anelli in traduzione A/P da essere spinta a leggerlo in inglese, poi a leggere tutto Tolkien in inglese, poi a scrivere saggi e tenere conferenze… Non ero consapevole di vivere nell’oscurità.
Questa traduzione libererà Tolkien dall’egemonia dell’estrema destra? Ci sarebbe da sbadigliare, se il risultato non fosse gravissimo. Fatica è noto soprattutto per aver scritto poesie e ritradotto Moby Dick, ha ammesso di non essere uno specialista di fantasy e di non aver mai letto Il Signore degli Anelli. Ha fatto affermazioni sbalorditive, come la sua completa incomprensione del significato dei linguaggi inventati di Tolkien. Una delle sue prime dichiarazioni pubbliche fu che la traduzione A/P aveva “500 errori a pagina”, poi ritrattata.
La reazione dei sostenitori di Alliata fu altrettanto scomposta. Alliata stessa rispose con una querela. Un autogol? Non ho la competenza per giudicare; il risultato è che la traduzione A/P, edizione Bompiani, non è più disponibile in libreria.
In parte le critiche iniziali erano fondate: Bompiani scelse di pubblicizzare la nuova traduzione tramite la Poesia dell’Anello. Kelopoeta può spiegarla meglio di me, ma la nuova versione è tanto stridente che fu rigettata in blocco. Come biglietto da visita sarebbe stato meglio un brano in prosa, magari il passo sulla Pietà di Bilbo, che Fatica ha reso abbastanza bene. Sbattere subito in faccia ai lettori quella che sembra una parodia ha avuto l’effetto opposto su coloro che da 50 anni recitano con amore, e senza camicia nera, “Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende”. Su Fatica si riversarono insulti di ogni genere, anche ingiustificati. No, non ha tradotto Mount Doom con “La Montagna Fiammea”; quella è la traduzione di The Fiery Mountain. Non che sia bella, ma è un esempio di fake news su cui moltissimi detrattori di Fatica sono pronti a giurare.
E infatti è subito partita la contro-reazione altrettanto irrazionale e violenta di Fatica e dei suoi sostenitori. Gli amanti di A/P sono fan da curva sud, attaccati all’orsacchiotto di peluche… siamo al punto che sono l’AIST e i suoi sostenitori a stabilire se uno è tolkieniano o no, si veda l’articolo “Ancora uno sforzo se volete essere tolkieniani”. No grazie, non ci serve che ce lo dica qualcun altro.
Giudizio linguistico. Ora facciamo finta di non sapere nulla di queste beghe e di non conoscere A/P. Fatica ha “restituito il vero Tolkien”? Concordo con i Figli di Fëanor: no.
Credo che Tolkien sia leggibile in originale anche da chi non sa l’inglese alla perfezione. Certo, ci vuole un dizionario e l’abitudine a certi stilemi e arcaismi che Tolkien usa, specialmente man mano che l’azione si fa più epica. Ma se è necessario leggere in italiano, si può non sapere niente dell’originale e accettare gli errori di traduzione se la lettura scorre. La “scorrevolezza” è una delle caratteristiche più vantate da Fatica. Ma non l’ha inventata lui: fu teorizzata come “sospensione volontaria dell’incredulità” da Coleridge nel 1817.
BAM! nel Prologo di Fatica si trova subito “nanostivali”. [Inserire facile battuta sulle nanotecnologie degli hobbit.] Traduce uno di quei misteriosi termini arcaici di Tolkien che tanto sbalordiscono Fatica? No: un banalissimo dwarf-boots, del tutto comprensibile in inglese moderno. Intanto il lettore è stato strappato dalla sospensione dell’incredulità.
Errori linguistici: nessun traduttore è perfetto, soprattutto di fronte a un’opera enorme. Una volta io chiamai una nave Variopinta e Multicolore in due volumi diversi. Ma non mi vantavo di “restituire la vera Robin Hobb”. Solo nei primi due capitoli, Hoard (il tesoro di Smaug) tradotto due volte con “riserva” è ingiustificabile. E via dicendo. Alla categoria si possono aggiungere le incongruenze: a volte Dale è Vallea (bello!), a volte è Valle.
Registri: anche questi sarebbero stati salvati dalla nuova traduzione. È vero, Tolkien usa registri diversi a seconda del parlante o della situazione, ma lo stile è generalmente alto. E Fatica? Il colloquialismo be’ si trova 80 volte, usato da Gandalf e da Aragorn oltre che dagli hobbit più ignoranti e informali. Gandalf, chiamato SEMPRE “mago” invece di “stregone”, usa termini da coatto come “sciroppati”, “andare a farsi benedire”, “fare dietrofront”…
I nomi: argomento molto soggettivo, e al momento non sappiamo quali diritti d’autore ci siano sui nomi e sulle poesie tradotte da A/P. Fatica si vanta di aver seguito le istruzioni di Tolkien (la Nomenclatura, reperibile su Internet) in cui viene suggerito di usare l’ortografia della lingua di destinazione; poi lascia Pippin Took al posto di Pipino Tuc?…
Le poesie: Fatica ottiene risultati alterni. L’Enigma di Aragorn mi piace abbastanza. La Canzone di Bilbo (I sit beside the fire and think) per niente. Non è solo un’opinione soggettiva. Chiedete a chiunque: che significa “L’inverno senza primavera che io non vedrò”?
Conclusione: la traduzione Fatica fallisce lo scopo dichiarato dell’AIST di “uscire dall’oscurità” e “restituire il vero Tolkien”. L’ideale sarebbe stato una revisione di A/P; forse anche una ritraduzione più umile, con una maggiore conoscenza dell’autore e la collaborazione bipartisan (orrore) degli studiosi tolkieniani, sarebbe stata accettata meglio.
Ci sentiamo il 17 aprile ore 21 sulla Voce di Arda! Paola Cartoceti e i Figli di Fëanor
Nota (di Giuseppe Scattolini): potete ascoltare tutte le puntate della Voce di Arda al link https://www.spreaker.com/user/simoneclaudiani o scaricando la app Spreaker.com e cercandovi la Voce di Arda.
Quando lessi che il tema del Tolkien Reading Day di quest’anno sarebbe stato “Natura e Industria”, non fui subito entusiasta, sapendo che una delle manipolazioni ideologiche di Tolkien fosse quella in chiave ambientalista o addirittura ecologista. Leggendo però i brani che la stessa Tolkien Society consiglia per l’occasione e trovandoli davvero ricchi di spunti, mi sono rasserenato ricordando che il fine del Tolkien Reading Day è ogni anno un richiamo alla fonte, alla scrittura stessa di Tolkien che sarà sempre più profonda di qualsiasi interpretazione che voglia condensare il suo messaggio o addirittura travisarlo.
Ecco dunque che mi sono adoperato per arricchire questa traccia e mi sono accorto che questo argomento non è il cuore del messaggio di Tolkien, che sappiamo invece essere un riflesso dell’evangelium come dovrebbe essere ogni fiaba, ma lascia comunque una scia in quasi tutta la sua produzione: questo conflitto tra Natura e Industria si dispiega in tutto il legendarium, nella saggistica di Tolkien e viene esplicitato nel suo epistolario, Questo perché è un conflitto che Tolkien vide durante tutto il corso della sua vita: dalla campagna di Sarehole dove nacquero ricordi determinanti della sua infanzia alle mostruose tecnologie delle due Guerre Mondiali. Ecco che allora ben si comprende perché la Natura e l’Industria pervadano la narrativa tolkieniana già ne La Caduta di Gondolin del 1917 e continueranno a farlo fino al romanzo di Tolkien: Il Signore degli Anelli.
In effetti è nella trilogia che il tema diventa insistente, o così ci sembra anche perché la riduzione cinematografica di Peter Jackson sottolinea molto questo quadro soffermandosi volentieri sulle fucine di Saruman. Nei due primi film sembra proprio la minaccia di Isengard quella più pericolosa per la Compagnia dell’Anello e per le sorti della Terra di Mezzo.
Quello che ci permette però di capire come in Tolkien Natura e Industria non siano da concepire come due opposti di un pensiero manicheo ma entrambi possono avere risvolti non scontati ed anzi complessi, è il collegamento con il centro del pensiero tolkieniano che citavo prima. Nella lettera 131 a Milton Waldman, scritta probabilmente nel 1951, Tolkien parla chiaro: tutta la narrativa della Terra di Mezzo “riguarda soprattutto la Caduta, la Mortalità e la Macchina”. Certo, l’approfondimento su Natura e Industria si collega primariamente alla Macchina, ma non possiamo tralasciare gli altri due pilastri che il Professore ci rivela. Sarà dunque l’obiettivo di questo appuntamento non solo rintracciare nelle opere di Tolkien la presenza di bei paesaggi o di qualche “maladetto, abominoso ordigno”, per dirla con Ariosto, ma anche capire come questa problematica discenda necessariamente anche dalle riflessioni sulla Caduta e la Mortalità.
Nota (di Giuseppe Scattolini): l’appuntamento sarà una puntata della Radio La Voce di Arda al link https://www.spreaker.com/user/simoneclaudiani l’8 aprile alle 21. Apriremo io e Simone Claudiani e poi manderemo in diretta la registrazione di Sebastiano Tassinari con le sue letture sul tema.
sento sempre più in questi giorni come io stia vivendo il tempo del deserto. Parlo di me perché voglio partire dalla mia esperienza personale. Ogni giorno in più di questa quarantena è un ulteriore peso che si aggrava sul mio animo, perché mentre io sono chiuso in casa so di persone che vivono esperienze traumatiche al limite della resistenza e della sopportazione umane: medici e infermieri che vedono morire delle persone alla ricerca dei propri cari, nell’impossibilità dell’ultimo saluto nonché di ricevere degne esequie, mentre loro stessi come soldati vengono mandati sul campo di battaglia senza avere nemmeno le armi per combattere.
Questo è il tempo della prova per noi tutti. Questo è il tempo del deserto. Biblicamente è la Quaresima, i quaranta giorni di Cristo nel deserto, Tolkienianamente è Mordor: più che un luogo fisico, è un tempo che si distende nelle ore e nei giorni, che ci tenta e ci mette alla prova, come accaduto a Sam, a Frodo, a Boromir, a tutti i membri della Compagnia dell’Anello. Noi siamo la Compagnia dell’Anello, che oggi è sciolta e che per sopravvivere deve rimanere fedele al suo proposito. Fedele a sé stessa.
Ciascuno di noi sta vivendo le sue tentazioni. Trasgredire alle regole, disperarsi, sentirsi soli e desolati, arrabbiarsi con sé stessi e con il mondo, arrendersi… non so in quanti modi questo deserto, questa Mordor stia tentando ciascuno di voi. Probabilmente la paura e la disperazione sono le due tentazioni più grandi che ora come ora attanagliano il cuore di noi italiani, come anche la rabbia di vedere troppo poche misure prese contro questo attacco di un nemico invisibile e la tristezza nel vedere che i nostri fratelli in Europa e nel mondo non stanno seguendo il nostro esempio nel proteggere adeguatamente la loro popolazione, compiendo invece, passo passo, i nostri stessi errori.
Inoltre, non sappiamo cosa ne sarà del nostro tempo, della nostra Italia, della nostra Europa, degli Stati Uniti che dovranno cambiare per forza il loro modo di pensare lo Stato e il sistema sanitario nazionale per far fronte all’epidemia… non sappiamo cosa ne sarà del mondo così come lo conosciamo, dei suoi regolamenti, dei suoi funzionamenti che credevamo stabili, né riusciamo a sentire fiducia (per lo meno non io) nel fatto che nascerà un mondo rinnovato, migliore, educato da questa grande crisi, peggiore che non quella finanziaria del 2008-2009.
Siamo in preda a sentimenti molto simili, se non gli stessi, che Tolkien descrive nelle sue opere e nelle Lettere a riguardo della Terra di Mezzo. Penso ad esempio alle riflessioni degli Elfi sulla perdita della bellezza e del tempo che fugge portando via con sé tutto quanto: ricordiamo l’inesorabilità con cui Galadriel ci parla della fine della Terza Era. Poco importa per gli Elfi, in fondo, che Frodo riesca o meno nella sua Missione, poiché in ogni caso essi verranno spazzati via, che sia Sauron a distruggerli o solo il passare delle Ere. Un altro esempio proviene dalle considerazioni di Tolkien sul nostro mondo, quando ne parla come di un mondo Caduto: come è inesorabile la fine degli Elfi, così anche il male lo è. Può essere sconfitto, ma non potrà mai essere del tutto fermato. Non qui, non oggi, non da noi.
Questo è il modo in cui Tolkien descrive il deserto, che possiamo chiamare Quaresima, Mordor, quarantena o reparto di terapia intensiva. Tolkien non è uno scrittore attuale: è sempre attuale, cosa ben diversa, perché è universale, è umano, parla di noi, così come siamo e sempre saremo. Tolkien è un autore eterno, molto più di un semplice classico della letteratura. I classici rappresentano un’epoca, una cultura, un modo di pensare, ma Tolkien non ritorna sempre per questo: egli ritorna continuamente a noi perché ciò di cui parla è intramontabile, essendo vero.
Ma, così come dopo la Quaresima viene la Pasqua, lo stesso Tolkien è convinto che in fondo il male, l’Ombra, non sia che una cosa passeggera, perché ancor più inesorabile della Caduta è la Speranza. La Speranza in Tolkien risiede anzitutto nel fatto che un solo atto di amore sia sufficiente a redimere tutta una vita, come accaduto a Boromir, o che la Pietà possa vincere l’invincibile, come è il caso di Frodo e dell’Anello.
La Speranza è la cifra attraverso cui noi tutti dobbiamo prepararci a vivere il tempo futuro, oltre che affrontare il presente. Anche se non è facile vedere le stelle oltre il manto delle nere nubi di Mordor, anche noi, come Sam, dobbiamo provarci. Per questo abbiamo organizzato sulla nostra radio La Voce di Arda (link: https://www.spreaker.com/user/simoneclaudiani) una puntata speciale sulla Speranza mercoledì primo aprile alle 21. Percorreremo un cammino entro cui due care ospiti e amiche ci accompagneranno, Martina de Nicola e Chiara Nejrotti. A loro il compito di mostrarci la luce oltre l’oscurità. Anche io e Simone tenteremo di dare il nostro meglio in radio.
Quando, con Simone Claudiani e Giuseppe Scattolini, decidemmo di dare il via a un intero ciclo di puntate web-radiofoniche su Quenya e Sindarin, abbiamo azzardato una scommessa vera e propria. Le esperienze di “corsi” in presenza del 2016, tra Bologna e Modena, avevano avuto un ritorno molto soddisfacente, ma da lì a occupare ben sette serate in radio per presentare questi affascinanti frutti colti dal giardino della subcreazione tolkieniana il passo era più lungo di quello che sembrava. Ma oggi, alla vigilia della serata conclusiva, la soddisfazione è davvero tanta.
Aver ottenuto ascolti che hanno soddisfatto le migliori aspettative dei miei due amici è stato gratificante. Anche perché la formula era una sfida nella sfida: di solito, nelle serate dei corsi precedenti o alle presentazioni che tengo in occasione degli eventi Tolkieniani, la parte espositiva dura da un’ora e mezza a un’ora e tre quarti. Ma qui mi si chiedeva di tenere banco per il doppio del tempo: tre ore piene o quasi a puntata, che sicuramente non avrebbero stancato me, ma che non avevo idea di come avrebbero potuto essere accolte da chi era abituato a mettersi all’ascolto di argomenti meno ostici da affrontare – per quanto le lingue degli Elfi esercitino un notevole fascino, trascorrere tutto quel tempo fronteggiando tempi verbali, casi e forme flessive, mutazioni vocali e consonanti e altre diavolerie del genere non era detto che catturasse più simpatie di tanto. E invece, serata dopo serata, la risposta era sempre convincente. Tuttora non sono sicuro di aver scelto il miglior programma possibile, né di averlo esposto con la massima efficacia oratoria. Quello che mi auguro, come dopo ogni volta in cui ho l’occasione di parlare in pubblico del mio argomento più caro, è ovviamente di aver risvegliato lo stesso interesse almeno in una parte di chi ha scelto di dedicarmi il suo tempo. Ma stavolta c’era uno stimolo in più.
Queste serate si sono infatti svolte proprio nel periodo in cui la nuova traduzione del La Compagnia dell’Anello incontrava i lettori. Per quanto ormai sia ben noto quali e quanti campioni in lingua sono presenti nel libro di Tolkien, c’era comunque la curiosità di toccare con mano come sarebbero stati affrontati nell’ultima versione, presentata dall’editore come “di rottura”. Altrove (in altra puntata… https://www.spreaker.com/user/simoneclaudiani/commento-e-critica-della-nuova-traduzion) abbiamo affrontato l’argomento e non è il caso di riprenderlo qui. Ma spero che almeno qualcuno dei lettori e ascoltatori possa essersi sentito particolarmente incuriosito e sospinto ad esigere, per le parti in lingua (il costrutto più caro al Professore), la stessa cura che Tolkien avrebbe voluto constatare – come ben sanno i traduttori che hanno avuto la ventura di prestare la loro opera confrontandosi direttamente con lui.
Ci accingiamo dunque alla serata conclusiva, in cui rimangono da affrontare alcuni argomenti del Quenya (vari usi di lá: pronomi in frasi imperative; pronomi enfatici; domande in ma-; posposizioni; sa e clausole nominali) e alcuni discorsi relativi alla condizione del Sindarin, per verificare quanto ha senso il concetto di una forma standard della lingua. Ma, come le volte precedenti, la conclusione di un’esperienza deve sempre preludere all’inizio del suo seguito. Ciò a cui dobbiamo dedicarci ora è la produzione di un adeguato sistema di informazioni consultabili in rete, aggiornate e affidabili, che integrino libri stampati; forme di tutoring per la didattica a distanza; un sistema di esercitazioni e un glossario di base per seguire con maggior agio lezioni ed esercizi. Il tutto sempre tenendo d’occhio il complesso ma affascinante obiettivo di catturare l’interesse di accademici, studiosi di linguistica e di filologia, per riuscire prima o poi a trattare questi argomenti con la professionalità che meritano e che richiedono.
Il lavoro da fare è sempre tanto. Ma la compagnia con cui intraprenderlo è davvero la migliore che avrei potuto desiderare: le condizioni per creare qualcosa di bello, di cui godere in tanti, ci sono tutte. Vedremo di coglierle una a una.
Nota (di Giuseppe Scattolini): tutte le lezioni del corso le trovate sulla Radio La Voce di Arda al link https://www.spreaker.com/user/simoneclaudiani selezionando “episodi”, da dove potrete usufruire anche di tutte le altre puntate della nostra radio sui temi tolkieniani più disparati. Nell’immagine in evidenza trovate i due libri di Gianluca sulle lingue elfiche editi da L’Arco e la Corte.
Amici carissimi, il 21 marzo ci sarebbe dovuto essere un incontro in presenza a Roma sulla fede di Tolkien. Abbiamo aspettato a lungo prima di rimandarlo a data da destinarsi, non potevamo assolutamente prevedere la realtà che oggi si impone a noi: tutta Italia è zona rossa.
Seppure questi tempi drammatici non ci consentono di vederci e provocano in noi grandi dolori e lutti, delusioni e sofferenze, tristezza e solitudine, non possiamo abbandonarci alla disperazione, ma dobbiamo farci coraggio rimanendo uniti come una vera Compagnia dell’Anello.
Per questo tenteremo di aumentare i nostri sforzi sulla webradio La Voce di Arda, per tenervi compagnia e non abbandonarvi nel momento del bisogno, perché Tolkien non abbandona i suoi figli quando più c’è bisogno della sua parola e del suo conforto. E se noi abbiamo avuto un tale amorevole padre, perché dovremmo cedere e non fare altre puntate radiofoniche proprio quando il bisogno più incalza?
Dunque, in sostituzione dell’incontro in presenza del 21, abbiamo cambiato leggermente tema e ospiti: il prossimo 19 marzo alle ore 21 sulla Voce di Arda al link https://www.spreaker.com/user/simoneclaudiani interverranno Marco Respinti e Chiara Bertoglio per parlarci di Tolkien, il cattolicesimo e l’educazione. Vedremo come Tolkien è stato educato, sì, ma soprattutto come egli educa noi. Questo è molto importante in un momento tanto difficile.
Quello che seguirà non è un articolo di critica che va a rintracciare dove Tolkien parla di epidemie nei suoi scritti, al fine di interpretare il testo alla luce di questo punto di vista che la realtà oggi ci propone con forza. L’articolo che seguirà è un articolo che non potevo non scrivere: una riflessione personale tramite cui vorrei condividere i miei pensieri con tutti voi.
Questo nuovo virus ci sta mettendo in grave difficoltà, io credo per tanti motivi. Non solo il nostro corpo non ha le difese immunitarie per combatterlo, non solo i nostri ospedali non sono, non potevano, essere preparati ad assorbire senza difficoltà questa emergenza, ma era proprio il nostro spirito che non era pronto a reggere l’urto di tante difficoltà, tanti disagi e tante sorprese. A me ad esempio non è stato di aiuto navigare a vista in questi giorni: non sapere mai cosa verrà non solo il giorno dopo, ma nell’ora seguente, ha provato molto il mio animo. Dubbi, incertezze, speranze disilluse, tristezza e sofferenza mi hanno molto logorato, nonché la lontananza di tanti amici e persone care.
Il mio pensiero e la mia preoccupazione vanno per primi a coloro che stanno subendo il grosso dell’ondata virale lì nelle regioni e nelle province dove sembra che ormai tanti non verranno più nemmeno curati per assenza di macchine respiratorie. Non so, cari amici, se ci rendiamo conto del grande problema, che è non solo medico-organizzativo, ma anche etico che si prospetta a tutti noi. A tutti. La prevenzione e la cura servono a questo, a non arrivare a queste situazioni critiche e di grande dolore in cui delle persone muoiono perché non si possono curare. Dobbiamo renderci tutti conto della profonda drammaticità e tristezza del momento.
Tolkien vi avrebbe visto in questo una tragedia umana immensa, grande come le tragedie greche che aveva studiato e rappresentato da ragazzo alla King Edward’s School, dove numerose volte i protagonisti debbono scegliere tra due mali. In questo caso bisogna scegliere se curare chi arriva facendo decidere al caso chi vive e chi muore ma salvare meno persone, o essere i giudici di chi deve vivere e chi deve morire salvando però più vite, ma prendendosi sulla coscienza un peso e una responsabilità immani.
Per seconde nelle mie riflessioni, ma non in secondo piano, metto tutte quelle persone che stanno subendo il virus senza ammalarsi e senza stare nelle zone apparentemente più a rischio. Mentre alcuni potrebbero morire corporalmente, altri sono in una situazione tale da poter subire danni psicologici tali da aprire ferite anche nello spirito, tanto da portarlo alla morte.
Con “spirito” non intendo un’entità metafisica o religiosa, ma quella parte di noi più alta e più profonda che, ad esempio, è nutrita dalla letteratura e dalla filosofia, che si esprime tramite i componimenti poetici ed i più bei contenuti della prosa. Lo spirito è quella parte di noi che è appassionata di Tolkien: noi tolkieniani siamo tali non nel corpo, ma nello spirito. Non è la mano che regge il libro ad essere tolkieniana, non è l’occhio che permette alla parola di essere letta, ma è lo spirito ad essere tolkieniano.
La situazione in Italia è molto seria in tutti questi sensi: sia per le persone che rischiano la vita, che per le persone che rischiano invece lo spirito. Può essere e sarà per noi un tempo di grande cambiamento: un’opportunità per essere persone migliori e riscoprirsi tali, o per tirare fuori la nostra natura bestiale, che si chiami spirito di sopravvivenza ed imprima nel nostro animo asprezza, durezza, mancanza di carità e di compassione per coloro che scompaiono. Non dimentichiamo che fu la compassione a salvare gli Hobbit, secondo Gandalf, durante il Grande Inverno in cui anche i lupi scesero dal nord e vi fu una carestia nella Contea.
Ecco secondo me il grande punto. Quest’oggi è il momento di riscoprire i pilastri tolkieniani dell’umano, di ciò che ci rende persone, uomini e donne. Il mio carissimo amico Dante Valletta mi ha, ci ha lasciato questo grande insegnamento: che nella vita di ognuno di noi sono sei i grandi pilastri che reggono tutto: fede, speranza, carità, umiltà, pietà e ragione.
La fede è la nostra capacità di aggrapparci a qualcosa, come la consapevolezza che a questo mondo c’è del buono e che per esso è giusto combattere (per citare il Sam del film di Peter Jackson). La speranza sta nella nostra attesa e nella consapevolezza che il soccorso verrà, poiché essa non risiede in noi, ma nell’Ovest. La carità è la capacità del nostro sguardo di rimanere puro: non odiamo e non abbiamo paura delle altre persone, non temiamo il contagio. Se qualcuno ha bisogno di noi avviciniamoci e abbracciamolo, anche se le regole non lo consentirebbero. La carità non vuole che non seguiamo le regole e che facciamo di testa nostra, tutt’altro: ci dice anzi di rispettarle, ma fino a che facciamo del bene, e non quando quelle regole diventano una catena che ci impedisce di essere umani.
L’umiltà, la piccolezza degli Hobbit, la loro semplicità… io penso che tante chiacchiere da bar si possano fare su quello che ci sta succedendo. Possiamo mandare tanti audio di tante persone diverse che siano sia allarmisti che riduzionisti della situazione. Ma facciamo attenzione a non perdere la nostra umiltà e a non dimenticarci che siamo solo piccole creature in un mondo molto più vasto in cui ben altri poteri sono all’opera, e che è più importante non dimenticare chi ci è accanto che non parlare di chi ha preso decisioni su cui noi non abbiamo influenza alcuna. Sfoghiamoci, ma rimaniamo piccoli, semplici, umili, non disperdiamoci nelle troppe informazioni rischiando di perdere noi stessi e la bussola.
La pietà anche è molto importante, sempre. La Pietà di Bilbo, Sam, Frodo… non dimentichiamoci che ha salvato la Terra di Mezzo. Abbiamo dunque pietà dei nostri fratelli che fuggono dal nord per tornare a casa nel sud. Abbiamo pietà di chi fugge o sfugge alle regole. Abbiamo pietà di chi non fa o non riesce a fare attenzione alle normative. Abbiamo pietà e non chiamiamo nessuno “untore”. A me sembra una cosa tanto brutta da fare, e che ci disumanizza. Anche di fronte a comportamenti poco condivisibili, non perdiamo la pietà e perdoniamo. Riprendiamo quella o quelle persone gentilmente, perché il perdono e l’ascolto sono cure più forti di qualunque farmaco antivirale e sono il miglior vaccino per la nostra interiorità.
Infine la ragione, che deve guidarci lungo questo percorso accidentato di ricerca e di comprensione della realtà. Se conosciamo qualcuno in difficoltà, è ragionevole che lo aiutiamo, come è ragionevole tanto lavarsi le mani, tenere il metro di distanza, fare attenzione ai nostri piccoli e ai nostri anziani e ai malati, e continuare ad amare senza avere paura di fare gesti di affetto nei confronti dei bisognosi, senza trattare gli altri come infetti, o come untori. Attenzione senza angoscia, rispetto senza paranoia. La ragione ci dice che dobbiamo rispettare le regole e chiedere agli altri di rispettarle a loro volta, ma non al costo di perdere la nostra umanità: non esiste giustizia senza misericordia.
Cos’è dunque che deve guidarci in tutto questo, nel marasma delle informazioni, dei regolamenti, delle necessità quotidiane e delle difficoltà che incontriamo e che dobbiamo risolvere, dentro e fuori di noi? La coscienza. Essa è quella luce gentile che ci guida con dolcezza dall’interno, e che ci dice che “nel dubbio, un uomo di valore avrà fiducia nella propria saggezza” (SdA, Il Re del Palazzo d’Oro).
Oltre a tutto questo, in conclusione, non smettiamo di starci vicini, almeno attraverso i social e i testi tolkieniani. Apprezziamo sempre più i nostri amici e le persone che ci vogliono bene. Stringiamoci l’un l’altro come una grande Compagnia dell’Anello, anche se portiamo i guanti e le mascherine. Leggiamo Tolkien, che potrebbe esserci di giovamento oggi più che mai. Rimaniamo in famiglia e pur distanti gli uni dagli altri nella certezza che qui od oltre le mura del mondo, per tutti, “Aure entuluva! Il giorno risorgerà!” e ritorneremo ad abbracciarci come fratelli e sorelle.
Riscopriamo dunque il Professore al tempo del coronavirus. Forse capiremo cose che prima ci erano nascoste. Mando un abbraccio a tutti, in modo particolare agli amici e alle amiche che mi mancano tanto e che stanno in zona rossa. Voi fate lo stesso. Auguro a tutti di superare questo tempo di prova.
Coraggio.
Aure entuluva!
Ci sentiamo venerdì sera in diretta sulla Radio la Voce di Arda (link https://www.spreaker.com/user/simoneclaudiani) alle 21 con la puntata con Kelo sulle poesie di Tolkien. Cercheremo di fare in modo che il Professore porti a tutti noi un po’ di conforto.
EDIT: alla luce delle dichiarazioni della serata stessa in cui ho scritto questo articolo, 9 marzo 2020, oggi, 10 marzo, devo giusto correggere una cosa dicendo che, ormai, siamo tutti in zona rossa. Come avevo detto, la situazione nel nostro paese, l’Italia, cambia di ora in ora. Faccio dunque i miei migliori auguri ai miei confratelli e consorelle connazionali, nonché a tutti gli Europei e a tutti i paesi del mondo. Questa grande crisi passerà, ma non dimentichiamo che sta a noi decidere come superarla. La scelta sulla nostra persona dipende solo da noi. La coscienza sia la nostra guida. Aure entuluva!
Uno dei punti più dibattuti in merito alla nuova traduzione di Ottavio Fatica sono le poesie. Conosciutissima è ormai la sua versione della poesia dell’Anello con l’Aule di pietra, il trono tetro, le Ombre che si celano e il fato crudele. Ma la questione è molto più ampia e complessa del semplice gusto.
Recentemente uno studioso e traduttore, Michele Nuzzolese alias Kelo, ha iniziato sul suo sito https://kelopoeta.wordpress.com/ ad analizzare in modo scientifico le poesie di Tolkien, tanto in lingua originale che nella traduzione classica di Vittoria Alliata ed in quella recente di Ottavio Fatica: per questo abbiamo deciso di invitarlo sulla nostra Radio La Voce di Arda.
Il prossimo 13 marzo a partire dalle 21 leggeremo e discuteremo insieme le poesie di Tolkien, tanto in lingua originale che in traduzione: Kelo farà un’analisi critica di quelle del Signore degli Anelli, ma noi leggeremo poesie tolkieniane da tutte le opere, in lingua originale e in tutte le traduzioni disponibili. Durante la puntata potrete anche voi prenotare le vostre letture e fare tutte le domande che volete tramite la chat di spreaker e WhatsApp.
La nostra associazione realizza ogni tanto delle magliette associative ufficiali per i soci. Con l’occasione chiediamo a tutti i nostri amici tolkieniani se desiderano averne una anche loro.
Uno dei modelli recentemente realizzati porta la firma dell’artista Giulia Nasini (https://www.facebook.com/giulianasinillustration/): ha per noi riprodotto un drago ispirandosi all’illustrazione di Tolkien del drago del Beowulf. La maglietta riporta appunto una frase del Beowulf.
Invitiamo tutti gli interessati a scriverci sulla nostra mail icavalieridelmark@gmail.com per ulteriori informazioni, vedere tutti i modelli delle magliette che si possono ordinare e scegliere il preferito.
Ringraziamo Giulia per la sua preziosa opera: contattatela per ogni evenienza sulla sua pagina facebook o anche al nostro indirizzo mail e vi metteremo noi in contatto con lei.
Il film Tolkien di Dome Karukoski è passato nei cinema, per lo più nel silenzio. Nonostante Tolkien sia un autore molto noto ed un biopic su di lui prometteva senza dubbio un successo importante, anche se forse non tanto grande quanto quello ottenuto da altri film biografici come quello su Stephen Hawking La teoria del tutto o su Freddie Mercury e i Queen Bohemian Rapsody, la casa di produzione pare non aver investito a sufficienza nella pubblicizzazione e nella distribuzione, con la conseguenza che Tolkien non è finito nel dimenticatoio semplicemente perché la sua esistenza fin dal principio è stata notata da pochi selezionati. Avremmo preferito quantomeno un discreto successo come l’ebbe a suo tempo il film biografico su Lewis Viaggio in Inghilterra.
Per un tolkieniano questa è una cosa molto triste, sicuramente, dato l’amore che tutti gli appassionati de Il Signore degli Anelli provano per il suo autore, uno dei pochi, se non forse l’unico, per i cui appassionati è importante non solo l’aspetto biografico in quanto tale, ma anche la conoscenza della sua persona tutta intera, dall’attività accademica, alle passioni, le amicizie… Nonostante ciò, questo film è stato anche molto criticato perché non perfettamente filologico: le scene mescolano un po’ gli eventi accaduti a Tolkien durante la sua vita, le date vengono usate piuttosto liberamente, ed inoltre ci sono eventi propriamente inventati o distorti per esigenze cinematografiche. Questo in generale non è piaciuto agli studiosi, mentre tanti appassionati hanno criticato il film soprattutto perché non avrebbe trattato gli aspetti religiosi della vita di Tolkien e le sue convinzioni cattoliche. Come se ciò non bastasse poco prima dell’uscita la Tolkien Estate ha pubblicamente sconfessato un suo coinvolgimento nei lavori, e questo ha ulteriormente indebolito la pellicola, che dunque è uscita nel mezzo del fuoco incrociato della poca pubblicizzazione, della scarsa distribuzione, delle critiche di appassionati e studiosi (cominciate anch’esse prima dell’uscita ufficiale del film nelle sale) nonché della presa di distanza della Tolkien Estate stessa. Grazie al lavoro di tutti questi elementi combinati un possibile (a parer nostro sicuro) successo si è trasformato in un fiasco a livello mondiale, non avendo gli incassi coperto nemmeno metà del budget iniziale. Questo è davvero un peccato: il giovane regista meritava un trattamento diverso, questo film e Tolkien stesso meritavano un trattamento diverso. A nostro avviso, infatti, Dome Karukoski è riuscito ad instillare nel film poesia e alcuni dei sentimenti che agitavano i cuori di quei giovani studenti d’inizio secolo, la cui generazione fu spezzata dalla Prima guerra mondiale.
Gli aspetti presenti nella pellicola sono molteplici. Prima, non in ordine di apparizione, è la grande amicizia nata sui banchi di scuola tra Tolkien e gli altri membri del TCBS nonché lo slancio a seguire le proprie inclinazioni anche contro la volontà dei genitori da un lato strizzano l’occhio ad un classico del genere come L’attimo fuggente, pur non commettendone gli errori, dall’altro descrivono molto bene la loro voglia di essere protagonisti di grandi cose. Proprio il rapporto coi genitori, tra l’altro, è una delle colonne portanti del film: la relazione di Tolkien con sua madre e il suo tutore, quella di Gilson col padre e di Smith con sua madre, sono una delle parti della pellicola su cui il regista insiste di più. A ragione, dato che una delle chiavi di lettura più importanti delle opere di Tolkien è proprio il rapporto coi genitori. Inoltre, in una lettera nella finzione cinematografica scritta da Smith, poco prima di essere ucciso in battaglia, possiamo ritrovare quegli ideali e quel lascito che, come il film giustamente suggerisce, segnarono per sempre la vita di Tolkien:
“Mio caro John Ronald,
è mia somma consolazione sapere che, se stasera cadrò, resteranno parecchi membri del TCBS a dar voce a ciò che ho sognato e noi tutti pattuito. Che la morte di uno dei suoi membri non può, ne sono convinto, dissolvere i TCBS. La morte può renderci abominevoli e inutili singolarmente ma non può mettere fine ai Quattro Immortali! Possa Dio benedirti mio caro John Ronald, e possa tu dire le cose che io ho cercato di dire, quando non ci sarò più a dirle”
Per dare un’idea della filologicità spirituale del film su questo punto, citiamo la vera lettera di Smith così come è riportata da Carpenter nella biografia
“La mia principale consolazione è che se finirò nei guai questa notte – sarò fuori, in servizio, tra pochi minuti – ci sarà sempre un membro del grande TCBS che racconterà che cosa sognavo e su che cosa eravamo tutti d’accordo. Poiché la morte di uno dei suoi componenti non può, ne sono profondamente convinto, dissolvere il TCBS. La morte può renderci ripugnanti e inermi come individui, ma non può porre fine agli Immortali Quattro! Una scoperta che sto per comunicare anche a Rob, prima partire di questa notte. E la scriverò anche a Christopher. Possa Dio proteggerti e benedirti, mio caro John Ronald, e possa tu raccontare le cose che ho cercato di dire, anche dopo che io non sarò più qui per raccontarle, se questo sarà il mio destino.
Tuo per sempre,
G.B.S.”
Come si può notare, le due lettere sono identiche, anche se si tratta di traduzioni diverse: nel film, infatti, sono state tagliate alcune parole non essenziali (evidenziate in grassetto nella nota[1] che riporta il testo originale, pressoché identico in entrambe le fonti). Questo testimonia che il regista ha colto in pieno quegli ideali e quel lascito che, come il film giustamente suggerisce, segnarono per sempre la vita di Tolkien, come sosteniamo non solo noi ma anche il già citato biografo Carpenter e uno studioso come John Garth, autore di Tolkien e la Grande Guerra: la soglia della Terra di Mezzo.
Nonostante la guerra, infatti, la corrispondenza tra gli amici del TCBS non si era mai interrotta: Tolkien esprime sentimenti simili a quelli di Smith in una lettera del 12 agosto 1916 dopo la morte di uno dei quattro, Rob Gilson. Il destinatario è Smith stesso:
“Se la grandezza alla quale noi tre certamente pensavamo (e la pensavamo più che sola santità o nobiltà) è davvero la sorte dei TCBS, allora la morte di uno dei suoi membri è solo un amaro vaglio di coloro che non erano destinati ad essere grandi – almeno direttamente. Dio ci conceda che questo non suoni arrogante – in verità mi sento più umile ed incommensurabilmente più debole e più povero ora. La grandezza che io avevo in mente era quella di un grande strumento nelle mani di Dio – uno che muove, uno che fa, persino uno che realizza grandi cose, in fin dei conti, uno che dà inizio a grandi cose.
La grandezza che Rob ha trovato non è in alcun modo minore – poiché la grandezza che io avevo in mente e con tremore come nostra, è senza valore se non immersa nella stessa santità di coraggio, sofferenza e sacrificio – ma è di un grado diverso. La sua grandezza è, ora in altre parole una questione personale con noi – di un tipo che ci farà tenere il primo luglio un giorno speciale per tutti gli anni che Dio vorrà concedere ad ognuno di noi – ma tocca i TCBS in quel preciso aspetto che forse – è possibile – era l’unico che Rob davvero sentiva – ‘Amicizia all’ennesima potenza’. Ciò che voglio dire, e che credo Chris volesse dire, e sono piuttosto sicuro che anche tu volessi dire, era che ai TCBS è stata accordata una scintilla di fuoco – certamente come gruppo, se non singolarmente, – che era destinata ad accendere una nuova luce, o, che è la stessa cosa, riaccendere una vecchia luce nel mondo; che i TCBS erano destinati a testimoniare Dio e la verità un modo più diretto anche dello spendere le loro vite in questa guerra.”[2]
Venendo invece alla ingiusta critica dell’assenza della religiosità e del cattolicesimo di Tolkien in questo film, ci chiediamo anzitutto cosa si intenda per “mostrare il cattolicesimo di Tolkien”, augurandoci che non si pensi ad un’idea stereotipata di fede, o peggio, ridotta a macchietta. Noi, invece, convinti che non ci sia autore che più di Tolkien abbia dato importanza a non esibire la sua fede ed alla riservatezza su una cosa tanto intima affinché non sfociasse nel ridicolo, abbiamo notato come, in realtà, vi sia una forte presenza di fede in questo film. C’è da notare anzitutto che nella versione home video tutti potranno verificare, ad esempio, come tra scene tagliate ve ne sia una in cui padre Francis impartisce la Comunione o come il regista nel suo commento faccia riferimenti ampi ed importanti alla fede di Tolkien, spiegando le sue scelte per la versione cinematografica, o per la resa dei personaggi, dimostrando conoscenze degne di un appassionato esperto e di un regista non improvvisato. Proprio nella versione cinematograficaabbiamo riferimenti chiari e precisi al cristianesimo: un Crocifisso grande come tutto lo schermo nel bel mezzo della battaglia della Somme, oppure il canto alla King Edward’s School. Infatti, era quella una scuola anglicana e si vede che, nella prima scena ivi ambientata, mentre tutti gli altri studenti intonano un canto religioso anglicano, Tolkien è disorientato perché è l’unico cattolico, o per lo meno non protestante. Questo è rappresentativo anche di una profonda sensibilità del regista nei confronti della situazione dei cattolici in Inghilterra: una scena di pochi secondi come quella poteva essere tagliata e la scuola introdotta diversamente, dunque la sua presenza non è certo casuale. Ricordiamo che a tutt’oggi la situazione dei cattolici in Inghilterra è problematica, perché i vertici della politica inglese, dalla casa regnante al primo ministro, sono ancora anglicani per norma, i regnanti, e per tradizione, i politici e nella società permangono ancora buona parte dei pregiudizi che si nutrivano ai tempi di Tolkien.
I due riferimenti più forti al cattolicesimo e alla fede nel film, in ogni caso, sono padre Francis Morgan e Mabel Tolkien, il tutore e la madre di Tolkien. Come è chiaro a chiunque conosca un po’ la vita di Tolkien, padre Francis è spesso stato descritto come un tutore insensibile ed oppressivo a causa anche del divieto posto a Ronald di vedersi con Edith fino alla maggiore età: per questo motivo era figura fortemente a rischio in un film che presumibilmente avrebbe eliso di proposito dalla vita di Tolkien ogni riferimento al cattolicesimo e alla sua fede. Ciò che dal film emerge, invece, è un grande rispetto per la sua persona, tutta intera: non solo la sua attenzione all’educazione di Ronald, ma anche la sua dolcezza e paternità nei confronti dei fratelli Tolkien ormai orfani. Alla fine, arriverà anche ad accettare esplicitamente l’amore di Ronald ed Edith quando, al ritorno di Tolkien dalla Somme, andandolo a trovare in ospedale gli parla di come egli trovi conforto rifugiandosi nella liturgia e nelle cose antiche, e poi, un po’ en passant gli dice di essersi sbagliato su Edith, la quale gli è stata accanto per tutto il periodo della malattia. Questa è certamente una rappresentazione fedele della personalità dell’Oratoriano spagnolo, della sua fede e delle sue convinzioni. Che le idee di questo film siano giuste, con particolare riferimento alla figura di padre Francis, vogliamo dimostrarlo con questa citazione dal commento al film del regista stesso, il quale, riferendosi. Appunto alla scena nella quale Padre Morgan impone a Tolkien di non rivedere Edith, dice:
“Secondo le testimonianze, Tolkien visse come una tragedia il divieto impostogli da Padre Francis di non scrivere, né frequentare Edith sino ai ventuno anni. Secondo alcune opinioni, Edith era protestante, e forse ciò non andava a genio a Padre Francis. Anni dopo, Edith divenne cattolica, esaudendo la richiesta di Tolkien. Senza dubbio avremmo girato questa scena, se ci fossimo concentrati su quella fase della loro vita. Personalmente, non credo che la ragione del suo divieto sia di natura religiosa. Credo piuttosto che il prete, che è come un padre per Tolkien, voglia solo il meglio per i ragazzi, per John Ronald e Hilary. Da padre di famiglia, mi viene da chiedermi se, dal momento che è così giovane, egli provi davvero un sentimento genuino per Edith. Non è meglio che si concentri sulla scuola? I genitori di oggi si pongono le stesse domande. “Una cotta giovanile ostacolerà il futuro di nostro figlio?”. Inoltre, erano poveri. Padre Francis racimolava qualche soldo dallo smercio di Sherry in Spagna, e con quel denaro manteneva John Ronald e Hilary. Nonostante ciò, Tolkien voleva ottenere la borsa di studio, e per farlo doveva andare bene a scuola e portare a casa dei bei voti, altrimenti Oxford sarebbe rimasto un lontano sogno. In quegli anni, secondo l’usanza, i tutori o i genitori decidevano le sorti dei loro figli. In questo caso, Padre Francis stabilì che John Ronald avrebbe smesso di frequentare la donna che amava. Egli non si oppose. Tolkien rispettò il dettame di Padre Francis, benché non fosse d’accordo con lui. Ma egli gli voleva bene e lo ammirava, e spesso andava in chiesa. Abbiamo escluso quelle scene dal copione. Lo scopo è trasmettere il messaggio che la loro ammirazione è forte e reciproca.”
Mabel è un’altra figura che, come quella di padre Francis, nonostante il poco tempo concessole, stacca molto rispetto alle altre, anche se in generale tutti i personaggi del film sono tratteggiati con estrema cura, dedizione e abilità. Mabel viene presentata come colei che ha preso le decisioni fondamentali per i fratelli Tolkien, quelle decisioni che hanno instradato il nostro J.R.R. Tolkien per il resto della vita: l’amore per le lingue e le culture nordiche e gli antichi racconti e la fede cattolica. La scena sicuramente più toccante che la riguarda, nonché la più significativa, è l’arrivo a Birmingham. Ci si arriva di notte, nel mezzo dell’oscurità, e ciò che si vede è un nugolo di fabbriche, sporcizia, inquinamento… un ambiente ostile e spaventoso dopo la quiete e la bellezza della campagna di Sarehole. In questo contesto Mabel racconta ai figli di come le favole di quando lei era piccola raccontavano sempre di famiglie che, come la loro, all’improvviso si trovavano in povertà e ne sfuggivano trovando un tesoro. Ronald, tuttavia, replica che la gente non trova tesori nella vita reale. Lei risponde “Diciamo che ci sono tesori e tesori”.
A nostro avviso questo passo, del tutto inventato dal regista, è comunque significativo di come Mabel vivesse la propria nuova fede e di cosa avesse trovato all’Oratorio fondato da Newman e nella conoscenza di padre Francis: un tesoro. Il tesoro per cui vendere tutti gli averi. Un modo di pensare che riecheggia il brano del Vangelo di Matteo: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.” (Mt 13, 44) Non a caso John Henry Newman espresse un pensiero molto simile, seppure in un contesto molto diverso e con un riferimento biblico differente. Infatti, varie volte in Inghilterra circolò la voce che lui stesse per lasciare la Chiesa Cattolica, e nel 1862 fu questa la sua risposta pubblica:
“Io qui professo ex animo, con un assoluto assenso e consenso interiori, che il Protestantesimo è la più tetra delle possibili religioni; che il pensiero della funzione Anglicana mi fa rabbrividire ed il pensiero dei trentanove articoli mi fa sussultare. Ritornare alla Chiesa d’Inghilterra! No! ‘La rete è stata spezzata e noi siamo stati liberati[3].’ Dovrei essere un perfetto idiota (per usare un termine mite), se nella mia vecchiaia io abbandonassi ‘la terra dove scorrono latte e miele[4]’per la città della confusione e la casa della schiavitù.”.[5]
In conclusione, vorremmo sottolineare quanto bene il film di Karukoski evidenzi come la vita che Tolkien ha vissuto, le sue esperienze e le sue difficoltà, gioie e riflessioni quotidiane siano confluite nelle sue opere. Per questo riteniamo non solo e non tanto che lo studio della biografia sia fondamentale negli studi tolkieniani, ma anche che la comprensione della persona dello stesso Tolkien possa aiutare nella, o meglio, essere anche la comprensione della sua eredità a noi.
Greta Bertani
Giuseppe Scattolini
[1] “My chief consolation is that if I am scuppered tonight – Iam off on duty in a few minutes – there will still be left a member of the great T.C.B.S. to voice what I dreamed and what we all agreed upon. For the death of one of its members cannot, I am determined, dissolve the T.C.B.S. Death can make us loathsome and helpless as individuals, but it cannot put an end to the immortal four! A discovery I am going to communicate to Rob before I go off to-night. And do you write it also to Christopher. May God bless you, my dear John Ronald, and may you say the things I have tried to say long after I am not there to say them, if such be my lot.” Lettera di G.B. Smith, citata in Carpenter “A Biography”, Houghton Mifflin Company, Boston, 1977, p. 86.
[2] J.R.R. Tolkien “La realtà in trasparenza – Lettere”, curato da H. Carpenter, tr. a cura di Cristina de Grandis, lettera n. 5, pag. 12.
[3]Newman qui cita, probabilmente a memoria, il salmo 124,7: Noi siamo stati liberati come un uccello dal laccio dei cacciatori: il laccio si è spezzato e noi siamo scampati.